Da bambino il ricordo dell’odore della terra, dei carretti che vendevano frutta, carciofi, fagioli cannellini, del ponticello sotto il quale scorrevano le acque del Riullo.
Da ragazzo, in bicicletta con gli amici, la meta delle prime pedalate fuori città, il piacere di un panino con la mortadella e di una bevuta d’acqua del Serino alla borraccia che avevo riempito a casa.
Da studente liceale le partite a calcio nello spiazzale davanti ai cancelli della Montefibre.
Poi una fredda mattina di gennaio del 2003: il presidio per impedire alle maestranze della FIBE, il consorzio di imprese che si era aggiudicata la gara, di avviare i lavori per la costruzione dell’Inceneritore, un Mega Inceneritore, un impianto che avrebbe bruciato migliaia e migliaia di tonnellate di rifiuti.
C’erano i rappresentanti dei contadini, dei commercianti, dei disoccupati, delle associazioni culturali e religiose, delle istituzioni cittadine, regionali, parlamentari, tutti protagonisti di una stagione di impegno costante che, sulla base di una critica al modello di sviluppo dominante, da anni contrastava una scelta calata dall’alto che avrebbe di fatto cambiato il futuro di un intero territorio.
Ma lì, quella mattina, a protezione del cantiere, c’erano anche le forze dell’Ordine: agenti della Polizia di Stato, dei Carabinieri.
Una spinta, poi un’altra, e un’altra ancora, un varco, inseguiti dagli agenti una corsa verso l’operatore all’escavatore impegnato a forare il terreno, urlargli di fermarsi, raccogliere una tanica di carburante e minacciare di darci fuoco se non avesse fermato la sua macchina e non si fosse allontanato insieme ai suoi capi.
Vanno via.
E allora un pianto liberatorio, poi il sorriso, gli abbracci e le strette di mano e una fitta alla schiena: il colpo della strega.
Subito l’organizzazione di un’assemblea popolare perché quel luogo rappresenti il senso di appartenenza di una comunità.
Arrivano in tanti al Pantano: una processione di donne e uomini, di giovani e bambini a bordo di auto, motorini, biciclette. Poi i Trattori, anche quelli più grandi, con le bandiere delle organizzazioni di categoria e con cartelli inneggianti la vertenza. E anche una pala meccanica: bisogna per spianare il terreno.
Si attrezza la “casarella” dove si pianificano le iniziative, dove si proverà a riposare durante i turni di notte che in tanti si offrono di fare, dove si cucina e si discute davanti ad un piccolo camino.
Arriva la prima domenica e il Vescovo celebra la messa all’aperto.
E poi i concerti, la costruzione del Carro che parteciperà alla sfilata di Carnevale, l’allestimento del campo di calcio intestato a Carlo Giuliani, le partite a bigliardino, lo stagno artificiale con le “paperelle” che adottiamo e proteggiamo da qualche cane malintenzionato.
Tanti gli incontri con gli altri comitati impegnati contro l’incenerimento dei rifiuti. La Rete Nazionale Rifiuti Zero nasce sul Pantano che è diventato il simbolo di una vertenza che ha superato i confini nazionali.
Poi arriva il 17 agosto 2004.
All’alba, mentre la maggioranza dei cittadini è in vacanza, arriva l’esercito, arrestano i presenti e quanti si oppongono allo sgombero, tra loro ci sono il Sindaco Marletta, il senatore Sodano, i rappresentanti dei comitati e dei movimenti.
L’intera area viene dichiarata di “interesse nazionale strategico”.
Una barriera di militari impedisce l’accesso alla strada che conduce al terreno dove si devono riprendere i lavori di costruzione dell’Inceneritore. Costi quel che costi.
Un Consiglio Comunale Straordinario per organizzare le iniziative da mettere in campo.
Sono in tanti che alla notizia riportata dalle televisioni e dai giornali decidono di anticipare il rientro dalle vacanze.
Il 29 Agosto è la giornata della risposta civile e democratica allo sgombero.
Siamo decine di migliaia in corteo dal centro di Acerra diretti al Pantano, dove è prevista un’assemblea pubblica. Tanti gli stendardi dei Comuni italiani e dei loro rappresentanti che sfilano a fianco della Città. Poi il rumore degli elicotteri, l’odore acre dei lacrimogeni, le urla di chi corre via per ripararsi. La coda del corteo è ancora in città. Il suono delle sirene dei mezzi di polizia che sfrecciano per disperdere i manifestanti, e poi quello delle ambulanze.
Dov’è mia moglie con i miei figli. Il più piccolo ha sette mesi. I telefoni cellulari non hanno campo. Non si riesce a comunicare.
Si fa notte. Le notizie degli scontri sono riportate dai maggiori mezzi di informazione, riportano immagini di feriti, di gruppi di cittadini che continuano nella loro protesta.
Non si ferma la protesta.
E così il Presidio si trasferisce davanti al cordone degli agenti delle Forze dell’Ordine.
Un Camper, a bordo il Capitano con la sua Tammorra, Giovanni con il suo Diario, diventa il luogo della testimonianza.
Poi la farsa in pompa magna dell’inaugurazione dell’inceneritore. Siamo nel 2009.
Così come la Pietra di Pantano ha sigillato l’acqua stagnante in uno strato di pietra calcarea, preservando la città, così al Pantano le nostre coscienze sono state preservate dalla complicità, dal senso di impotenza e di rassegnazione, perché nulla sarà più come prima.