Affiorano assolutamente nitidi i ricordi della mia infanzia trascorsa nel Bosco di Calabricito. In quegli anni Acerra era una città molto diversa da quella attuale: i ritmi erano diversi, diverse erano le persone. Chi come me viveva in campagna doveva certo scontare la mancanza delle comodità del centro ma in cambio si aveva la possibilità di vivere una dimensione straordinaria. Il diretto contatto con la terra, gli animali, la natura che in quest’angolo del mondo era stata così generosa, mi ricompensavano di ogni altra privazione. Ma la natura qui mostrava anche la sua forza. A poche decine di metri dalla masseria in cui abitavo, con la mia famiglia, c’erano alcune buche nel terreno dalle quali zampillavano fiotti d’acqua freddissima direttamente dalle pietre bianche di calcare. Erano le sette sorgenti del Riullo, ognuna col suo nome, ognuna con le sue proprietà curative: la sorgente “e ll’uocchi” le cui acque lenivano i mali agli occhi, quella sulfurea così efficace contro i mali della pelle… La più grande di queste era chiamata Bocca della Signora e presso di essa la sera venivano tirate in secco le tipiche barche usate per spostarsi lungo i corsi d’acqua. Le acque sorgive confluivano tutte in un unico canale e in questo univano le forze per mettere in moto le quattro macine del Mulino all’Acqua. Tutte le attività sembravano in qualche modo legate a quest’acqua meravigliosa, dal lavoro allo svago. Oltre ad alimentare i mulini, l’acqua era usata per l’irrigazione dei campi, per riempire i fusari (grosse vasche dove si macerava la canapa) e nelle calde giornate estive per farsi dei piacevoli bagni. Anche le feste qui divenivano straordinarie. Avevo pochi anni quando si tenne nel Bosco di Calabricito la festa del Centenario. Una settimana di festeggiamenti con luminarie, bancarelle, tanta gente e soprattutto le barche agghindate su cui poter salire per fare una piccola crociera tra canali e fusari. Al centro della tenuta si ergeva fiera la splendida Casina dei Signori sulla cui sommità una enorme sfera d’oro rifletteva in tutta la piana gli intensi raggi del sole a mo’ di un grande faro. Talvolta nelle lunghe giornate di primavera la Contessa Madre veniva a far visita alle sue proprietà. Lo spettacolo era unico, ampie superfici sapientemente coltivate mostravano geometrie che rimandavano ad un ordine superiore, frutteti maestosi allevati con tecniche innovative ancora sconosciute da queste parti, sentieri puliti e perfettamente livellati lasciavano scorrere le ruote del nobile calesse sempre scortato dai guardiani in impeccabile divisa con berretto e schioppo sulle spalle…
I più giovani nemmeno sanno che qui c’era un fiume e che d’estate venivamo a distenderci sulle sponde o a fare il bagno, a pescare e a prendere il fresco. Quanti ricordano le notti passate con il naso all’insù ad aspettare i “marziani” nel “bosco di Acerra”, che di bosco già allora aveva solo il nome! Questa terra è la mia terra, la terra che amo!
(Anonimo)